Dopo aver riflettuto sulle reazioni della persona malata di tumore, della famiglia nel suo complesso e della coppia, ora lo faremo considerando il punto di vista dei figli.
Per
quanto riguarda i figli, nei genitori è frequente la convinzione
che sia meglio non parlare loro della malattia del genitore
perchè non capirebbero, perchè non li si vuol far soffrire o
impressionare, o perchè secondo loro i figli non desiderano sapere.
Inoltre i genitori, tra le ragioni addotte a favore della non
comunicazione, indicano il desiderio di evitare che i figli facciano
domande sul tumore e sulla morte o il desiderio di preservare
un'atmosfera di tranquillità in casa, per quanto possibile data la
situazione.
L’adulto
non spiegando al bambino cosa succede, inconsapevolmente, lo
indebolisce
perché gli impedisce di partecipare a quanto accade, di parlare di
ciò che sente, di ciò che gli arriva comunque dai familiari, anche
se non a parole. Infatti, i gesti, i sorrisi forzati, le lacrime
trattenute comunicano al bambino molto di più di quello che i
genitori pensano. Così il figlio si può sentire confuso,
solo, angosciato.
Tacere potrebbe indurre paure
peggiori della realtà
o far pensare che quest'ultima è troppo drammatica per essere
affrontata. I figli possono pensare di non
essere abbastanza importanti
da essere messi a conoscenza di 'questioni di famiglia', oppure
ottenere informazioni
errate
da amici e compagni di scuola o dalla televisione.
DIFFICOLTA'
E DISTURBI
I
bambini, confusi e soli nelle loro emozioni e domande, possono
manifestare difficoltà,
se
non veri e propri disturbi, quali ansia
per l'incertezza del non sapere, pianto
frequente
per motivi di scarsa importanza, enuresi,
incubi notturni, agitazione, aggressività auto o etero-diretta,
difficoltà di apprendimento, disturbi dell'alimentazione,
iperattività o depressione.
SI'
ALLA COMUNICAZIONE: PERCHE'?
Non
si può evitare di rattristare il figlio ma, condividendo
sentimenti e informazioni sulla situazione, si può evitare si
senta solo. Condividere le emozioni, fino anche il pianto,
rimanda al bambino che può esprimere anche lui quello che sente,
che può parlare della malattia, che può piangere, sfogarsi e
non deve mostrarsi forte.
COME?
COSA DIRE E QUANDO?
Non
è necessario dire tutto subito della malattia ma trasmettere
il messaggio che se ne può parlare.
Comunque, iniziare a dire
qualcosa dopo la diagnosi
e, prima di
iniziare le terapie,
informarli che potrebbero esserci degli effetti
collaterali,
che potrebbe cambiare il proprio umore, la propria energia e che
tutto ciò potrebbe richiedere dei cambiamenti nella routine
familiare. Rassicurarli
che il genitore li terrà informati
sulle condizioni di salute e sui cambiamenti. Mostrarsi
disponibili a parlare
ogni volta che i bambini pongono domande o sembrano preoccupati.
All'inizio
si può preferire parlare
ai figli individualmente,
così da modulare le informazioni in relazione all'età; poi, si
potrà voler parlare ai figli tutti insieme. Importante è ascoltare
i figli per capire cosa vogliono sapere e cosa li preoccupa,
correggere eventuali idee sbagliate, non mentire, non riportare
dettagli che non sono in grado di capire, non fare promesse che non
si possono mantenere (dicendo piuttosto cercherò di..), non aver
paura di dire 'non lo so', non costringere il figlio a parlare se non
vuole.
NON
SOLO PAROLE...GLI ABBRACCI, LE CAREZZE
In
ogni fase della malattia e tenendo conto delle caratteristiche di
ognuno, per i bambini è anche importante continuare a ricevere
attenzioni dai genitori anche a livello fisico, con abbracci e
carezze; infatti, il contatto fisico rimanda affetto, l'esserci del
genitore per lui in quel momento, accogliere le sue paure e non
allontanarle, respingerle, temerle. Questa fisicità porta benefici
anche per il genitore che la riceve, allentando la tensione, le
preoccupazioni, portando un maggiore senso di vicinanza,
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