lunedì 27 gennaio 2014

Childfree: capriccio o necessità?


Un articolo postato oggi sul sito di Repubblica mi ha fatto riflettere:
l'articolo riporta una tendenza nata negli Stati Uniti e ormai arrivata anche in Italia e cioè quella di vietare ai bambini l'entrata in alcuni ristoranti, hotel, aerei...



Qui potete trovare la versione integrale.

 
Mentre lo leggevo, mi sono posta alcune domande:
Qual è la visione di famiglia che si sta diffondendo in Italia? Cosa rappresentano i bambini per la nostra società? Solo un disturbo, un rumore fastidioso da spegnere il prima possibile?
C'è davvero bisogno di ergere dei divieti o più semplicemente si potrebbero creare degli spazi dove i bambini possano disegnare, colorare, leggere una storia, fare giochi da tavolo o simili?
Ci sono tanti modi in cui un bambino può esprimere la sua allegria, creatività, fantasia, la voglia di socializzare...In Svezia, uno di quei paesi del Nord Europa definiti nell'articolo tra i nuovi sostenitori della cultura "childfree", un giorno vidi in una Chiesa una cassapanca ripiena di bambole, colori, fogli per disegnare e accanto piccole sedie per i piccoli partecipanti alla funzione. Esistono quindi già posti di questo tipo e perchè allora non parlare di loro? 
Cosa potrebbe fare poi il genitore affinchè la vivacità del proprio bambino sia rispettosa del luogo e delle esigenze di chi sta loro accanto? Piuttosto che diffondere una cultura che bandisca la presenza dei bambini da alcuni luoghi, non si potrebbe diffonderne una basata sul rispetto reciproco, sulla tolleranza e sull'educazione?

Un articolo che farà discutere...

Voi cosa ne pensate?

sabato 25 gennaio 2014

Il tumore: impatto sui figli

Dopo aver riflettuto sulle reazioni della persona malata di tumore, della famiglia nel suo complesso e della coppia, ora lo faremo considerando il punto di vista dei figli.
Per quanto riguarda i figli, nei genitori è frequente la convinzione che sia meglio non parlare loro della malattia del genitore perchè non capirebbero, perchè non li si vuol far soffrire o impressionare, o perchè secondo loro i figli non desiderano sapere. Inoltre i genitori, tra le ragioni addotte a favore della non comunicazione, indicano il desiderio di evitare che i figli facciano domande sul tumore e sulla morte o il desiderio di preservare un'atmosfera di tranquillità in casa, per quanto possibile data la situazione. 
 
L’adulto non spiegando al bambino cosa succede, inconsapevolmente, lo indebolisce perché gli impedisce di partecipare a quanto accade, di parlare di ciò che sente, di ciò che gli arriva comunque dai familiari, anche se non a parole. Infatti, i gesti, i sorrisi forzati, le lacrime trattenute comunicano al bambino molto di più di quello che i genitori pensano. Così il figlio si può sentire confuso, solo, angosciato. Tacere potrebbe indurre paure peggiori della realtà o far pensare che quest'ultima è troppo drammatica per essere affrontata. I figli possono pensare di non essere abbastanza importanti da essere messi a conoscenza di 'questioni di famiglia', oppure ottenere informazioni errate da amici e compagni di scuola o dalla televisione.
DIFFICOLTA' E DISTURBI
I bambini, confusi e soli nelle loro emozioni e domande, possono manifestare difficoltà, se non veri e propri disturbi, quali ansia per l'incertezza del non sapere, pianto frequente per motivi di scarsa importanza, enuresi, incubi notturni, agitazione, aggressività auto o etero-diretta, difficoltà di apprendimento, disturbi dell'alimentazione, iperattività o depressione
 
SI' ALLA COMUNICAZIONE: PERCHE'?
Non si può evitare di rattristare il figlio ma, condividendo sentimenti e informazioni sulla situazione, si può evitare si senta solo. Condividere le emozioni, fino anche il pianto, rimanda al bambino che può esprimere anche lui quello che sente, che può parlare della malattia, che può piangere, sfogarsi e non deve mostrarsi forte. 
 
COME? COSA DIRE E QUANDO?
Non è necessario dire tutto subito della malattia ma trasmettere il messaggio che se ne può parlare. Comunque, iniziare a dire qualcosa dopo la diagnosi e, prima di iniziare le terapie, informarli che potrebbero esserci degli effetti collaterali, che potrebbe cambiare il proprio umore, la propria energia e che tutto ciò potrebbe richiedere dei cambiamenti nella routine familiare. Rassicurarli che il genitore li terrà informati sulle condizioni di salute e sui cambiamenti. Mostrarsi disponibili a parlare ogni volta che i bambini pongono domande o sembrano preoccupati. All'inizio si può preferire parlare ai figli individualmente, così da modulare le informazioni in relazione all'età; poi, si potrà voler parlare ai figli tutti insieme. Importante è ascoltare i figli per capire cosa vogliono sapere e cosa li preoccupa, correggere eventuali idee sbagliate, non mentire, non riportare dettagli che non sono in grado di capire, non fare promesse che non si possono mantenere (dicendo piuttosto cercherò di..), non aver paura di dire 'non lo so', non costringere il figlio a parlare se non vuole. 
 
NON SOLO PAROLE...GLI ABBRACCI, LE CAREZZE
In ogni fase della malattia e tenendo conto delle caratteristiche di ognuno, per i bambini è anche importante continuare a ricevere attenzioni dai genitori anche a livello fisico, con abbracci e carezze; infatti, il contatto fisico rimanda affetto, l'esserci del genitore per lui in quel momento, accogliere le sue paure e non allontanarle, respingerle, temerle. Questa fisicità porta benefici anche per il genitore che la riceve, allentando la tensione, le preoccupazioni, portando un maggiore senso di vicinanza, condivisione.

Il tumore: impatto sulla coppia

Negli articoli precedenti ho descritto quanto la letteratura e l'esperienza professionale raccontano circa l'impatto che una diagnosi di tumore può avere sulla persona e sulla sua famiglia. 
Per quanto riguarda la modalità di reazione della coppia alla malattia, molteplici sono i fattori che possono incidere su di essa.
Tra questi uno è rappresentato dalle precedenti modalità relazionali tra i due partner rispetto alla vicinanza, al dialogo, alla condivisione di pensieri ed emozioni, al reciproco sostegno, alla conflittualità. Così, laddove la coppia presenti vicinanza, condivisione, comunicazione aperta su emozioni e reciproci bisogni già prima della comparsa del tumore, durante il percorso della malattia tali modalità relazionali tendono a perdurare, con benefici sull'adattamento alla malattia. 

Laddove invece già prima della malattia i membri della coppia erano distanti, in conflitto, comunicano raramente, a seguito della diagnosi di tumore, presentano una difficoltà a parlare della malattia, per cui la negano, nascondono, minimizzano. Così al partner preoccupato, la persona malata può dire: “Non c'è niente che non va. Non ti preoccupare è solo stress per il lavoro”; in altre coppie, dove invece il tumore si può nominare, la difficoltà riguarda il parlare della paura della malattia, della sensazione della sua presenza costante, della paura della sua ricomparsa. 
 
Altri fattori che influenzano le modalità di reazione alla malattia sono le caratteristiche individuali di ogni partner, quali ad esempio la personalità, eventuali disturbi psichiatrici precedenti, la storia personale e familiare circa le modalità di reazione a eventi stressanti passati, se non proprio al tumore.
A questi si aggiungono quelli legati alla malattia stessa, quali lo stadio avanzato, la prognosi negativa, la scarsa risposta ai trattamenti, i sintomi (come il dolore) non controllabili, le numerose ospedalizzazioni e gli interventi terapeutici multipli e mutilanti. 
E ancora: il sostegno sociale, i fattori socio-economici e gli eventi stressanti multipli. Inoltre, il sovraccarico fisico ed emotivo di un partner entra in una circolarità con la sofferenza del proprio caro malato, per cui ad un aumento delle difficoltà di quest'ultimo si verifica un aumento parallelo delle condizioni di sofferenza psicopatologica del primo. Non sono comunque rare le situazioni in cui il malato riesca a raggiungere un buon livello di adattamento alla situazione che sta vivendo, mentre il partner presenti una condizione di sofferenza.
Per quanto riguarda le modalità di reazione della coppia alla malattia e ai cambiamenti che impone, una di queste è la protezione per cui la coppia si unisce ancora di più, il partner sano aumenta la vicinanza, diminuisce le critiche e l'ostilità, mantiene una comunicazione aperta. Un'altra possibile reazione è l'iperprotezione/regressione, in cui prevale un'estrema protezione del partner malato ed una rinuncia completa ai propri bisogni da parte del membro sano, che a volte può presentare, dietro la sua iperprotezione, sensi di colpa da riparare o un bisogno di impegno continuo per controllare un'angoscia altrimenti intollerabile. 

Altre modalità di reazione sono la paralisi, in cui la coppia resta nel tempo bloccata, non riuscendo a parlare di quanto sta capitando, e la crisi coniugale, con il manifestarsi di comportamenti apertamente aggressivi o disinteresse. In quest'ultimo caso la malattia scatena problemi di coppia pre-esistenti e nascosti. Infine, la coppia può reagire alla diagnosi di tumore con la chiusura, il ritiro o la riduzione dei contatti con l'esterno, una chiusura che, prolungata nel tempo, può portare a sentimenti di vuoto e isolamento.

Il tumore: una malattia familiare

 
Una diagnosi di tumore, le terapie, gli effetti collaterali di queste ultime non incidono solo sull'equilibrio del malato ma su quello di tutta la famiglia di cui esso fa parte. Questo perché la famiglia è un insieme unitario, in cui il comportamento di un individuo è in rapporto con quello degli altri, lo influenza e ne è influenzato. In quest'ottica, il tumore rappresenta una malattia familiare
 
Molti sono i possibili percorsi familiari nel processo di adattamento alla malattia di un proprio caro: vi sono, ad esempio, famiglie che inizialmente cercano di ristabilire l'equilibrio precedente alla diagnosi, negando i cambiamenti che sarebbero necessari nella sua organizzazione, per poi con il tempo stabilire un equilibrio nuovo; altre, che a dispetto della situazione, continuano come se nulla fosse accaduto e altre ancora che si attivano molto presto nel ridefinire una nuova organizzazione.
Certamente sono processi difficili, dolorosi ma anche unici, specifici per ogni famiglia e ogni componente, processi in cui molti fattori si influenzano reciprocamente. 
 
I CAMBIAMENTI NELLA FAMIGLIA DOPO LA DIAGNOSI
Tra i cambiamenti richiesti ai membri della famiglia e al malato, uno è relativo ai ruoli all'interno della famiglia: infatti la persona malata può ricoprire nella famiglia un ruolo centrale e la malattia cambia la sua posizione richiedendo agli altri membri di trovare un altro riferimento. Così possono emergere nei familiari domande del tipo: Chi prenderà questo ruolo? Sarà in grado? Come lo vivrà? E la persona malata? I figli? e per quanto tempo la nostra famiglia riuscirà a tollerare questi cambiamenti? 
 
Ad esser sconvolte saranno anche le regole, i ritmi della vita quotidiana, portando a vissuti di perdita per quanto non si può più fare od essere: ad esempio un figlio che non può più essere accompagnato dalla mamma a scuola, dovendo andare in ospedale per le terapie, e subentrerà la nonna al suo posto. E ancora potranno emergere possibili difficoltà economiche indotte dalla malattia per i costi di eventuali ricoveri, esami, cure. Infine, nel caso in cui ad esser malato è il capofamiglia, la famiglia può perdere i privilegi legati al ruolo sociale o professionale del congiunto malato. Un cambiamento vissuto spesso con notevole e comprensibile disagio dalla persona malata è la perdita dell'autonomia, diventando dipendente dalle cure e dagli interventi dei familiari.
Si è detto che ogni famiglia e ogni suo componente reagirà alla malattia del proprio congiunto in modo unico, in relazione a molteplici fattori, sia legati alla malattia che alla storia della famiglia e dei suoi singoli membri.