sabato 25 gennaio 2014

Il tumore: impatto sui figli

Dopo aver riflettuto sulle reazioni della persona malata di tumore, della famiglia nel suo complesso e della coppia, ora lo faremo considerando il punto di vista dei figli.
Per quanto riguarda i figli, nei genitori è frequente la convinzione che sia meglio non parlare loro della malattia del genitore perchè non capirebbero, perchè non li si vuol far soffrire o impressionare, o perchè secondo loro i figli non desiderano sapere. Inoltre i genitori, tra le ragioni addotte a favore della non comunicazione, indicano il desiderio di evitare che i figli facciano domande sul tumore e sulla morte o il desiderio di preservare un'atmosfera di tranquillità in casa, per quanto possibile data la situazione. 
 
L’adulto non spiegando al bambino cosa succede, inconsapevolmente, lo indebolisce perché gli impedisce di partecipare a quanto accade, di parlare di ciò che sente, di ciò che gli arriva comunque dai familiari, anche se non a parole. Infatti, i gesti, i sorrisi forzati, le lacrime trattenute comunicano al bambino molto di più di quello che i genitori pensano. Così il figlio si può sentire confuso, solo, angosciato. Tacere potrebbe indurre paure peggiori della realtà o far pensare che quest'ultima è troppo drammatica per essere affrontata. I figli possono pensare di non essere abbastanza importanti da essere messi a conoscenza di 'questioni di famiglia', oppure ottenere informazioni errate da amici e compagni di scuola o dalla televisione.
DIFFICOLTA' E DISTURBI
I bambini, confusi e soli nelle loro emozioni e domande, possono manifestare difficoltà, se non veri e propri disturbi, quali ansia per l'incertezza del non sapere, pianto frequente per motivi di scarsa importanza, enuresi, incubi notturni, agitazione, aggressività auto o etero-diretta, difficoltà di apprendimento, disturbi dell'alimentazione, iperattività o depressione
 
SI' ALLA COMUNICAZIONE: PERCHE'?
Non si può evitare di rattristare il figlio ma, condividendo sentimenti e informazioni sulla situazione, si può evitare si senta solo. Condividere le emozioni, fino anche il pianto, rimanda al bambino che può esprimere anche lui quello che sente, che può parlare della malattia, che può piangere, sfogarsi e non deve mostrarsi forte. 
 
COME? COSA DIRE E QUANDO?
Non è necessario dire tutto subito della malattia ma trasmettere il messaggio che se ne può parlare. Comunque, iniziare a dire qualcosa dopo la diagnosi e, prima di iniziare le terapie, informarli che potrebbero esserci degli effetti collaterali, che potrebbe cambiare il proprio umore, la propria energia e che tutto ciò potrebbe richiedere dei cambiamenti nella routine familiare. Rassicurarli che il genitore li terrà informati sulle condizioni di salute e sui cambiamenti. Mostrarsi disponibili a parlare ogni volta che i bambini pongono domande o sembrano preoccupati. All'inizio si può preferire parlare ai figli individualmente, così da modulare le informazioni in relazione all'età; poi, si potrà voler parlare ai figli tutti insieme. Importante è ascoltare i figli per capire cosa vogliono sapere e cosa li preoccupa, correggere eventuali idee sbagliate, non mentire, non riportare dettagli che non sono in grado di capire, non fare promesse che non si possono mantenere (dicendo piuttosto cercherò di..), non aver paura di dire 'non lo so', non costringere il figlio a parlare se non vuole. 
 
NON SOLO PAROLE...GLI ABBRACCI, LE CAREZZE
In ogni fase della malattia e tenendo conto delle caratteristiche di ognuno, per i bambini è anche importante continuare a ricevere attenzioni dai genitori anche a livello fisico, con abbracci e carezze; infatti, il contatto fisico rimanda affetto, l'esserci del genitore per lui in quel momento, accogliere le sue paure e non allontanarle, respingerle, temerle. Questa fisicità porta benefici anche per il genitore che la riceve, allentando la tensione, le preoccupazioni, portando un maggiore senso di vicinanza, condivisione.

ALTRI FATTORI CHE INFLUISCONO SULLE REAZIONI DEI FIGLI
Oltre all'informare il figlio sulle condizioni del genitore, altri fattori che influiscono sulle sue reazioni sono l'adattamento del genitore alla malattia, la durata di quest'ultima, il tipo di rapporto precedentemente instaurato con il genitore, la possibilità di mantenere la routine quotidiana familiare riorganizzando ruoli e compiti, il sesso e l'età del figlio.
 
Prima di descrivere le diverse reazioni in relazione in particolare all'età, è importante aggiungere che il bambino può attraversare le stesse FASI che attraversano i genitori e sperimentare quindi incredulità, rabbia, riorganizzazione, speranza e accettazione.
Come per i genitori, anche per i figli, tali fasi non devono esser intese come stadi che si succedono in modo rigidamente sequenziale, potendosi piuttosto riproporsi o sovrapporsi in vari momenti della malattia del genitore. Inoltre, a qualunque età, il bambino potrebbe cercare di attirare l'attenzione genitoriale con comportamenti oppositivi o regressivi, che, sono generalmente transitori.
REAZIONI DEI FIGLI ALLA MALATTIA DEL GENITORE A SECONDA DELL'ETA'
Per quanto riguarda le reazioni, in generale, i bambini molto piccoli sono più coinvolti ed interessati a quanto accade loro direttamente (come ad esempio non essere più accompagnati all'asilo dalla mamma) e la comprensione di quanto accade al genitore è molto scarsa. Quando il bambino ha un'età compresa tra i 3 ed i 10 anni, in lui è maggiore la percezione del pericolo della malattia. Così sperimentano sentimenti di separazione, perdita, solitudine, ansia e depressione, insieme ad idee di colpa rispetto alla malattia del genitore. 
 
I bambini con un'età compresa tra i 10 ed i 13 anni possono reagire al tumore del genitore con tentativi di autoresponsabilizzazione, proponendosi come figura in grado di ammortizzare le angosce familiari; oppure possono sperimentare rabbia per il venir meno di quel sostegno familiare necessario per la propria sicurezza.
Infine, in età adolescenziale, tra i 13 e i 18 anni, le problematiche si fanno ancora più complesse, anche in considerazione dei tumulti emozionali e di formazione e definizione del sé che questa fase dello sviluppo comporta (Lewis, 1985). Possono in tali casi emergere sentimenti di ambivalenza legata al conflitto tra il bisogno di autoaffermazione e di autonomizzazione e la necessità di dover fornire sostegno alla famiglia. Alcuni adolescenti affrontano la situazione ribellandosi e comportandosi in modo infantile, altri facendosi carico di responsabilità gravose e maturando in fretta. Le adolescenti di sesso femminile spesso manifestano livelli di disagio psicologico più elevati rispetto agli adolescenti di sesso maschile, e ancor più quando la figura genitoriale colpita dalla malattia sia quella materna, per il maggior carico di responsabilità familiari da esse sopportato.
CONSIGLI PRATICI
Se il genitore è ricoverato in ospedale, è importante per il bambino andarlo a trovare in camera o nella sala d'attesa; sentirlo per telefono; poter portare al genitore disegni o fotografie; se è incuriosito o preoccupato riguardo al ricovero, alle procedure, alle terapie, è importante che riceva spiegazioni su come tutto ciò funziona, anche rispetto a cose semplici, come a cosa serva il campanello; fargli conoscere le persone che si prendono cura del genitore malato 
 
Al rientro a casa, coinvolgere il figlio piccolo nel dare una mano, ad esempio facendo portare al genitore un libro da leggere; se il bambino pone domande sulla malattia, è utile leggere con lui un libro con immagini sul corpo umano, indicargli dove si trova il tumore e spiegandogli cosa sta accadendo in lui a livello fisico; fare attività piacevoli con il figlio che non richiedano molta energia, come disegnare, leggere, guardare la tv, scrivere una storia della propria famiglia, giocare con il pongo...

Nessun commento:

Posta un commento