venerdì 24 gennaio 2014

Le reazioni psicologiche al tumore

Quando si riceve una diagnosi di tumore e nei mesi che seguono molte sono le emozioni sperimentate dal malato e altrettante le modalità con cui esse vengono gestite. Ogni individuo è unico e unica è la sua modalità di reagire ad un evento che minaccia la vita. Gli studiosi hanno distinto tali modalità in relazione alla fase del percorso che la persona attraversa: fase di allarme pre-diagnostico, fase acuta, fase elaborativa. A queste fasi, ne possono far seguito altre, a seconda dell'evoluzione della malattia, quale la guarigione, la recidiva fino alla morte. Tali fasi non devono essere intese come stadi che si succedono in modo rigidamente sequenziale, potendosi piuttosto riproporsi o sovrapporsi in vari momenti della malattia.
L'articolo che segue si propone pertanto di guidare il lettore in una riflessione sul critico e doloroso percorso che la persona attraversa, così da accrescerne la consapevolezza, chiarire dubbi e condividere, se lo desidera, pensieri ed emozioni attivati dalla lettura.
La “fase dell'allarme pre-diagnostico” è quella relativa alla comparsa dei primi sintomi e del sospetto della malattia. Le reazioni più frequenti sono: l'allarme, caratterizzata da un alto livello di preoccupazione rispetto al sintomo, e l'ansia, più o meno elevata, o un atteggiamento pessimista rispetto all'esito degli esami diagnostici. Se l'ansia è estremamente elevata, possono comparire meccanismi di minimizzazione o di negazione del significato dei sintomi, ritardando la possibilità di una diagnosi.
Per quanto riguarda la “fase acuta”, si distinguono la fase di shock e la fase di transizione. La prima è immediatamente successiva alla diagnosi; si caratterizza per sentimenti di incredulità, di anestesia affettiva e di angoscia. Inoltre, la persona, spesso reagisce negando quanto le sta capitando, così da proteggersi da una realtà troppo dolorosa e che non è pronta ad affrontare. In tal modo, mantiene la disperazione entro livelli più tollerabili. 
 
La fase di transizione è la fase in cui la realtà della malattia si rende ancora più evidente, per la necessità di approfondimenti diagnostici e delle cure. L'incontro con tali situazioni suscita angoscia, rabbia, disperazione e paura. Per contenere queste emozioni, possono venir attivate difese diverse, a volte opposte tra loro. Ne sono un esempio casi in cui la persona afferma di “non essersi sentita mai così in forma”, parla della diagnosi con indifferenza, mette in atto comportamenti infantili, diventa più aggressiva verso i medici o i propri cari.
Alla fase acuta segue quella “elaborativa”, in cui si verifica una graduale elaborazione, accettazione e riorientamento della propria esistenza. In questa fase, in particolare, si cerca di dare un senso a ciò che è successo, di rispondere alla domanda fin dall’inizio presente, “Perché proprio a me?”, e di accettare il lutto per le parti perdute di sè, rispetto all'identità, all'immagine corporea, al lavoro, alle relazioni familiari e sociali. A ciò si aggiunge che le visite di controllo possono riproporre le problematiche e le emozioni proprie della fase acuta.

Le reazioni psicologiche al tumore, a lungo termine, sono influenzate dagli specifici stili di coping adottati dalla persona, ossia da quelle particolari modalità con cui fa fronte ad un evento che minaccia la propria vita, quale appunto il tumore. 
 
Secondo alcuni studi, uno stile di coping che favorisce un miglior adattamento psicosociale e una minor preoccupazione per la malattia è rappresentata da quella che Greer definisce “spirito combattivo”, intesa come un atteggiamento fiducioso nelle proprie capacità di combattere e di sconfiggere la malattia, un atteggiamento di confronto e di aderenza alle terapie; al contrario nel caso in cui prevalgano le modalità denominate “disperazione” e “preoccupazione ansiosa”
 
Con questo non si vuol dire, però, che la persona debba reprimere le sue emozioni, ma piuttosto che, essendo emozioni naturali di fronte ad una malattia che minaccia la propria esistenza, è fondamentale che vengano manifestate, condivise, elaborate. L'evitamento e la negazione delle emozioni “negative” può rappresentare un sollievo nel breve termine ma a lungo termine rinforza il senso di isolamento, la solitudine e la convinzione di non poter tollerare quelle emozioni. Ne derivano disperazione e impotenza. A volte, infatti, la persona è convinta che il “pensare positivo” faciliti la guarigione e che il provare sentimenti “negativi” causi una recidiva o la diffusione della malattia. Al “pensiero positivo”, si può aggiungere, quale meccanismo che impedisce l'espressione delle emozioni, il timore di esser sommersi da esse o il sommergere gli altri. E' importante, in questi casi, approfondire se e come la persona è pronta ad accedere in quel momento alle proprie ed altrui emozioni, per poi separarsi da esse e riflettere sul loro significato
 
Altri fattori che influenzano la possibilità per il paziente di affrontare la situazione di crisi esistenziale, scatenata dalla diagnosi tumorale, sono: il livello di adattamento precedente (per esempio nei confronti di pregresse situazioni di malattia), il tipo di patologia (sintomatologia, decorso, tipi di trattamento, eventuali effetti collaterali), il significato di minaccia esistenziale che il cancro rappresenta, la fase del ciclo vitale, i fattori culturali e religiosi, il tipo e l’entità del sostegno familiare e sociale, l’assetto psicologico (età, grado di maturazione psicologica, capacità introspettiva, istruzione, eventuali disturbi psichiatrici), la personalità ed infine il significato personale attribuito alla malattia.