Quando
si riceve una diagnosi di tumore e nei mesi che seguono molte sono le
emozioni sperimentate dal malato e altrettante le modalità con cui
esse vengono gestite. Ogni individuo è unico e unica è la sua
modalità di reagire ad un evento che minaccia la vita. Gli studiosi
hanno distinto tali modalità in relazione alla fase del percorso che
la persona attraversa: fase di allarme pre-diagnostico, fase acuta,
fase elaborativa. A queste fasi, ne possono far seguito altre, a
seconda dell'evoluzione della malattia, quale la guarigione, la
recidiva fino alla morte. Tali fasi non devono essere intese come
stadi che si succedono in modo rigidamente sequenziale, potendosi
piuttosto riproporsi o sovrapporsi in vari momenti della malattia.
L'articolo
che segue si propone pertanto di guidare il lettore in una
riflessione sul critico e doloroso percorso che la persona
attraversa, così da accrescerne la consapevolezza, chiarire dubbi e
condividere, se lo desidera, pensieri ed emozioni attivati dalla
lettura.
La
“fase dell'allarme
pre-diagnostico” è
quella relativa alla
comparsa dei primi sintomi e del sospetto della malattia. Le reazioni
più frequenti sono: l'allarme, caratterizzata da un alto livello di
preoccupazione rispetto al sintomo, e l'ansia, più o meno elevata, o
un atteggiamento pessimista rispetto all'esito degli esami
diagnostici. Se l'ansia è estremamente elevata, possono comparire
meccanismi di minimizzazione o di negazione del significato dei
sintomi, ritardando la possibilità di una diagnosi.
Per quanto riguarda
la “fase acuta”,
si distinguono la fase di shock
e
la fase di transizione. La prima è
immediatamente successiva alla diagnosi; si caratterizza per
sentimenti di incredulità, di anestesia affettiva e di angoscia.
Inoltre, la persona, spesso reagisce negando quanto le sta capitando,
così da proteggersi da una realtà troppo dolorosa e che non è
pronta ad affrontare. In tal modo, mantiene la disperazione entro
livelli più tollerabili.
La fase
di transizione
è la fase in cui la realtà della malattia
si rende ancora più evidente, per la necessità di approfondimenti
diagnostici e delle cure. L'incontro con tali situazioni suscita
angoscia, rabbia, disperazione e paura. Per contenere queste
emozioni, possono venir attivate difese diverse, a volte opposte tra
loro. Ne sono un esempio casi in cui la persona afferma di “non
essersi sentita mai così in forma”, parla della diagnosi con
indifferenza, mette in atto comportamenti infantili, diventa più
aggressiva verso i medici o i propri cari.
Alla fase acuta
segue quella “elaborativa”, in cui si verifica una
graduale elaborazione, accettazione e riorientamento della propria
esistenza. In questa fase, in particolare, si cerca di dare un senso
a ciò che è successo, di rispondere alla domanda fin dall’inizio
presente, “Perché proprio a me?”, e di accettare il lutto per le parti perdute di sè, rispetto
all'identità, all'immagine corporea, al lavoro, alle relazioni
familiari e sociali. A ciò si aggiunge che le visite di controllo
possono riproporre le problematiche e le emozioni proprie della fase
acuta.
Le reazioni
psicologiche al tumore, a lungo termine, sono influenzate dagli
specifici stili di coping adottati dalla persona, ossia da
quelle particolari modalità con cui fa fronte ad un evento che
minaccia la propria vita, quale appunto il tumore.
Secondo alcuni studi, uno stile di coping che favorisce un miglior
adattamento psicosociale e una minor preoccupazione per la malattia è
rappresentata da quella che Greer definisce “spirito
combattivo”, intesa come un atteggiamento fiducioso nelle
proprie capacità di combattere e di sconfiggere la malattia, un
atteggiamento di confronto e di aderenza alle terapie; al contrario
nel caso in cui prevalgano le modalità denominate “disperazione”
e “preoccupazione ansiosa” .
Con questo non si
vuol dire, però, che la persona debba reprimere le sue emozioni, ma
piuttosto che, essendo emozioni naturali di fronte ad una malattia
che minaccia la propria esistenza, è fondamentale che vengano
manifestate, condivise, elaborate. L'evitamento e la negazione delle
emozioni “negative” può rappresentare un sollievo nel breve
termine ma a lungo termine rinforza il senso di isolamento, la
solitudine e la convinzione di non poter tollerare quelle emozioni.
Ne derivano disperazione e impotenza. A volte, infatti, la persona è
convinta che il “pensare positivo” faciliti la guarigione e che
il provare sentimenti “negativi” causi una recidiva o la
diffusione della malattia. Al “pensiero positivo”, si può
aggiungere, quale meccanismo che impedisce l'espressione delle
emozioni, il timore di esser sommersi da esse o il sommergere gli
altri. E' importante, in questi casi, approfondire se e come la
persona è pronta ad accedere in quel momento alle proprie ed altrui
emozioni, per poi separarsi da esse e riflettere sul loro significato.
Altri fattori che
influenzano la possibilità per il paziente di affrontare la
situazione di crisi esistenziale, scatenata dalla
diagnosi tumorale, sono: il livello di adattamento precedente (per
esempio nei confronti di pregresse situazioni di malattia), il tipo
di patologia (sintomatologia, decorso, tipi di trattamento, eventuali
effetti collaterali), il significato di minaccia esistenziale che il
cancro rappresenta, la fase del ciclo vitale, i fattori culturali e
religiosi, il tipo e l’entità del sostegno familiare e sociale,
l’assetto psicologico (età, grado di maturazione psicologica,
capacità introspettiva, istruzione, eventuali disturbi
psichiatrici), la personalità ed infine il significato personale
attribuito alla malattia.